Ho sempre dato al cibo, al cucinare, un doppio significato: quando era per gli altri era un modo per trasmettere un sentimento positivo, un "ti voglio bene" in tortiera. Quando era per me era -ed è- un modo per riempire un vuoto, per placare un sentimento fastidioso, per non sentire una situazione scomoda. Stessa azione, stessa ricetta, risultati opposti.
Ho sempre sofferto di questo vizio scomodo, tranne durante il periodo dell'università. Perchè? Perchè in quei lunghi, faticosi e bellissimi tre anni stavo realizzando un sogno, avevo scelto una strada che mi rendeva soddisfatta di me stessa e stavo mantenendo una promessa importante. In altre parole: sentivo di avere la mia vita tra le mani saldamente. Poi la realtà dei fatti, la disillusione, gli sforzi che non danno frutti perchè operati in un sistema che sostanzialmente del tuo impegno se ne frega. Infine varie vicende personali che mi fanno provare il vuoto della solitudine, che vista da fuori non c'è, ma che io sento. La sento quando mi siedo sul mio sgabello di legno di seconda mano e mi ritrovo di fronte un piatto, una forchetta e un calice di vino. Io invece ho cucinato per due. E allora mangio per due. La schiscetta che avevo preparato per il pranzo di domani rimarrà vuota.
La solitudine raccontata a chi non sa ascoltare è pure peggio di quella che si prova nel proprio piccolo.
"Ma hai tante persone attorno, non devi sentirti così. Quando vuoi ci sono, basta che chiami".
Sono poche le persone che riescono a comprendere la bellezza, la delicatezza, la magia di dormire nella stessa casa e la mattina ritrovarsi a colazione, ancora assonnati, a bere un caffè in piedi in cucina mentre si scalda il latte, si preparano le fette biscottate, si cerca la marmellata nel frigo. E quelle chiacchiere con la tazza calda fra le mani e con la voce un po' roca... Sono linfa per il mio cuore. Eppure non riesco a spiegarlo a parole e a convincere le persone a provare questa gioia, a prendersi la briga di passare del tempo assieme. Sbaglio io: momenti preziosi si possono costruire solo con persone preziose. E sono poche e sono come le lucciole: le cerchi al buio, talvolta sei convinto di averle viste e invece erano solo un riflesso della luna. Ma quando le trovi ti brillano gli occhi, le guardi e aspetti che si avvicinino, entri nella loro vita in punta di piedi, però sai che una volta saldato quel legame non ti lasceranno mai.
Le mie persone del cuore sono lontane... Cerco di viaggiare molto e così ho incontrato persone stupende, ma lontane. Devo solo farci l'abitudine.
Però io non ci sto. Non ci sto più in questa gabbia. Non mi va più di sottostare a un sistema frustrante. Rivoglio il mio cibo, il piacere del cibo cucinato da me, con amore, per me.
Quando ho iniziato a impastare queste brioche al cioccolato e arancia candita mi sentivo sola, impastavo e pensavo che nel frattempo mi sarebbe piaciuto chiacchierare con qualcuno. Avevo le mani impiastricciate di farina zucchero e uova e mi serviva un cucchiaio: ho cercato di fare attenzione nell'aprire i cassetti ma alla fine c'erano impronte di impasto su posate e cassetti. "Se ci fosse stato qualcuno qui con me avrei potuto chiedere una mano!".
Poi ho lasciato l'impasto in frigo a lievitare lentamente. Ho cercato di liberare la mente e sono andata a letto.
La mattina seguente ho tolto la ciotola dal frigo, ho ascoltato le notizie del tg e il mio umore era... Boh, un frullato di sconforto, amarezza, tristezza, delusione. Ma come posso vivere in un mondo così, perchè non trovo nel mondo nulla che rispecchi i miei principi, i miei ideali. Guardo fuori dalla finestra e non trovo nulla in cui rivedermi, nulla che mi somigli, in cui rifugiarmi. Solo tante guerre, catastrofi naturali, cose orribili. Come posso nel mio piccolo fare qualcosa di tangibile?
Quando ho sfornato queste profumate brioche filanti il mio cuore era più quieto, un po' più rasserenato. Grazie a me. Al mio non volermi lasciar trascinare, al lavoro che faccio da qualche anno di riordinare le idee, di dare un nome ai sentimenti, di cercare di ascoltarli anche quando sono sgradevoli. A volte ci riesco. Altre vengo travolta per settimane e mi sembra di annegare nuotando contro corrente. Però alla fine ce la faccio. E ce la faccio anche grazie alle mie lucciole che in silenzio, con pazienza, mi stanno accanto e mi ricordano che se nel buio ho paura posso socchiudere un po' gli occhi e guardare bene: loro sono lì, un luminoso puntino brillante.
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